Come ormai molti sanno la funzione dei reni si misura con il calcolo del filtrato Glomerulare (GFR): una misura matematica che deriva dal valore della Creatinina dosata nel sangue; se il GFR scende vuol dire che i reni funzionano meno (valori normali sopra a 60 ml/min).
Da alcuni anni il calcolo del GFR viene fatto con una formula Americana denominata CKD-EPI che ben si adatta alla popolazione costituita in buona parte da Afro-Americani.
Recenti studi svolti da colleghi Svedesi hanno dimostrato che questa formula se applicata alla popolazione europea porta a sovrastimare il danno renale con un errore non trascurabile, come riferisce il Prof Carmine Zoccali di Reggio Calabria.
Il Consorzio Europeo per la Funzione Renale (European Kidney Function Consortium – EKFC) ha messo a punto una nuova formula che calcola il GFR (e quindi la funzione dei reni) in maniera piú precisa per la popolazione europea partendo sempre dalla misura della Creatinina nel sangue o meglio ancora dalla Cistatina C (un parametro piú preciso ma ancora non molto diffuso nei nostri laboratori).
La formula puó essere utilizzata accedendo a vari website come ad esempio: https://www.renadaptor.org/calculator_fren.php
Questa scoperta ha un grosso impatto sulla pratica clinica in quanto non solo misura piú precisamente la funzione dei reni, ma da essa dipende l’utilizzo ed il dosaggio di molti farmaci in chi soffre di insufficienza renale.
Massimo Morosetti. Presidente FIR-ETS
Si è da poco concluso il Grandangolo di Bologna, 3 giorni di lavori intensi su argomenti di attualità in Nefrologia.
Il tema dell’anemia da malattia renale cronica (MRC) è stato oggetto di una sessione e due simposi dedicati nei quali sono stati presi in esame vari aspetti:
– il problema dell’inerzia terapeutica che comporta un alto numero di pazienti sottotrattati sia con agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA) sia con preparati a base di ferro per via orale o per via endovenosa
-l’importanza dell’ottimizzazione del trattamento con ESA che si basa 1) sulla correzione di tutti i fattori modificabili di resistenza agli ESA, quali la carenza marziale, l’iperparatiroidismo, il deficit di vitamina B 12 e folati, l’inadeguatezza dialitica; 2) sull’evitare modifiche improprie dei dosaggi di ESA quando ad esempio si verifica un evento infiammatorio/infettivo acuto; 3) sul rispetto delle proprietà farmacologiche della molecola che si utilizza (per ESA a breve emivita frequenza bi o trisettimanale; per darbepoetina frequenza settimanale nella fase di correzione dell’anemia e quindicinale o mensile nella fase di mantenimento; per CERA frequenza mensile). E’ sconsigliata una frequenza dilazionata ogni 10-15-30 giorni degli agenti a breve emivita (quali epoetina alfa , beta e biosimilari) perché questo uso improprio determina picchi plasmatici di eritropoietina responsabili di effetti ipertensivi, protrombotici e proliferativi a loro volta associati a eventi cardiovascolari avversi
– l’importante di utilizzare nei pazienti con MRC non in emodialisi agenti long-acting come la darbepoetina alfa sia per la necessità di un minor numero di somministrazioni per via sottocutanea sia per un miglior profilo di sicurezza renale e cardiovascolare
-la recente disponibilità di una nuova classe di farmaci orali licenziati per trattamento dell’anemia da MRC, gli inibitori della prolil idrossilasi dell’HIF che hanno un profilo di efficacia e sicurezza sovrapponibile agli ESA long-acting.
Oggi quindi disponiamo di numerose terapie che consentono un trattamento personalizzato capace di ottimizzare la cura dell’anemia da MRC.
Maura Ravera, FIR- ETS
Il Grandangolo in Nefrologia e Dialisi 2024, giunto alla sua diciottesima edizione, ha, come sempre, centrato l’obiettivo di presentare alla comunità nefrologica argomenti di grande attualità nell’ambito della nefrologia della dialisi e del Trapianto, commentando i recenti lavori scientifici di interesse nefrologico presentati nel 2023.
La malattia renale cronica (MRC), è una malattia degenerativa e progressiva che tende ad avanzare fino alla fase terminale e alla dialisi .
I pazienti con MRC presentano tassi più elevati di mortalità per tutte le cause, di eventi cardiovascolari gravi e ospedalizzazioni; un livello più basso di funzione renale è correlato ad una riduzione dell’aspettativa di vita.
Una sessione del Grandangolo 2024, ha fatto il punto con particolare rilievo, sulle più recenti terapie innovative per la MRC: i farmaci Inibitori SGLT2 ( trasportatori sodio-glucosio di tipo 2), già prescrivibili, e in grado di offrire opportunità senza precedenti per prevenire e ritardare la progressione della malattia renali e mitigarne le conseguenze.
Lo studio DAPA CKD di cui ha discusso il prof Luca De Nicola, ha valutato l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci nel lungo termine sottolineando una riduzione del 31% del rischio di mortalità per tutte le cause nella malattia renale cronica e la riduzione del 39 %del rischio di progressione della malattia renale verso gli stadi terminali .
Un secondo importante risultato confermato dallo studio DAPA-CKD e da altri studi recenti ha valutato l’efficacia e la sicurezza a lungo termine degli SGLT2 come dapaglifozin ed Empaglifozin in pazienti con malattia renale cronica con o senza diabete di tipo 2 .
Le linee guida 2023 presentate durante la stessa sessione, sottolineano l’importanza dell’ albuminuria come importante esame predittivo nella valutazione del rischio di malattia renale progressiva .
Confermano il trattamento con i nuovi farmaci con SGLT2 nei pazienti con MRC
Le LG Raccomandano inoltre l’intervento e la gestione della malattia già negli stadi iniziali per rallentare la progressione del danno .
La diagnosi precoce di Malattia renale Cronica può migliorare la gestione dei pazienti e gli esiti clinici
Il tema delle nuove linee guida sul metabolismo minerale e osseo (CKD-MBD) è stato oggetto di una sessione. Le nuove Linee Guida KDIGO non sono state ancora pubblicate, ma sono stati fatti incontri preliminari tra esperti nel settore che hanno toccato alcuni temi che saranno inseriti nell’aggiornamento.
– Apporto giornaliero di calcio raccomandato nella CKD. Nei pazienti con CKD l’apporto alimentare di calcio è spesso inadeguato con il rischio di un bilancio calcico negativo e conseguente danno osseo. Si raccomanda un introito giornaliero di calcio di 800-1000 mg, evitando di superare un apporto superiore a 1.5g/die che potrebbe indurre un bilancio positivo. In caso di apporto dietetico inadeguato si possono dare supplementi di calcio o chelanti del fosforo contenenti calcio (1 g di calcio carbonato e di calcio acetato contengono rispettivamente 400 mg e 250 mg di calcio elementare). Riferimento bibliografico è il recente lavoro di Evenepoel e del “Working Goup” europeo sulla CKD-MBD (Nephrol Dial Transplant 2024; 39: 341).
– Utilizzo dei chelanti del fosforo contenenti calcio. Nelle linee guida KDIGO del 2017 si raccomandava di limitare l’utilizzo di chelanti a base di calcio. Alla luce del recente studio randomizzato (JAMA 2021; 2325: 1946) che non ha documentato in 2309 pazienti dializzati giapponesi con un follow up mediano di 3 anni il alcun beneficio del Lantanio Carbonato (dose mediana 1.5 g/die) rispetto al Calcio carbonato (dose mediana 1.5 g/die pari a 600 mg di calcio elemento) in termini eventi cardiovascolari e mortalità complessiva, la limitazione all’uso dei chelanti contenenti calcio andrà rivista.
– Terapia con vitamina D attiva (calcitriolo, paracalcitolo) nei pazienti in dialisi. Le linee guida attuali (KDIGO 2017) suggeriscono l’utilizza di vitamina D attiva solo nei pazienti in cui si mira a ridurre il livello di paratormone (livelli superiori a 9 volte il limite superiore del metodo di laboratorio utilizzato o livelli in progressivo aumento anche all’interno del range target). Un recente studio randomizzato giapponese su 1289 pazienti in dialisi (follow up di 4 anni) non ha mostrato alcun vantaggio, in termini di mortalità o di eventi cardiovascolari, del trattamento con vitamina D attiva rispetto al placebo in pazienti con livelli di paratormone non elevati (PTH < 180 pg/ml) (JAMA 2018, 320: 2325). Lo studio non conferma l’ipotesi di un beneficio cardiovascolare della vitamina D attiva