Ogni persona che giunge all’attenzione dell’equipe curante per un colloquio destinato alla preparazione al trapianto è diversa, per vissuto, professionalità e cultura.

Fino a poco prima era una persona libera, autonoma, ma improvvisamente ha dovuto imparare a dipendere da macchine e cure.

Quando la malattia renale la persona apprende senza preavviso che la propria libertà è e sarà compromessa: dovrà lavorare su di sé e abituarsi a cambiamenti importanti.

Alla base dell’incontro con l’equipe medica ci deve essere l’accoglienza, messa in pratica dai componenti del gruppo di esperti ma rivolta al paziente e al suo mondo, quindi personalizzata.

Il colloquio e il counseling

Il colloquio con il paziente e la sua famiglia passa per un necessario e dettagliato processo di counseling.

Tale processo rappresenta una modalità complessa di aiuto all’individuo che implica l’attivazione di un percorso lento e graduale di auto-emancipazione.

L’operatore o l’equipe, che vuole impegnarsi in un’azione di counseling, deve combattere la tentazione di operare un rapido azzeramento del problema che la persona si trova davanti.

Perché il cambiamento sia duraturo, la risoluzione deve venire quanto più possibile dal paziente e dalla sua famiglia.

Gli obiettivi del colloquio

Nella relazione d’aiuto che si instaura, l’operatore ha un duplice obiettivo: comprendere l’altro e aiutarlo a prendersi in carico il proprio problema.

Lo strumento è appunto il colloquio non direttivo in cui si aiuta la persona comprendere la situazione, riconoscere i propri sentimenti, atteggiamenti e comportamenti.

Lo si incoraggia a parlare apertamente dei propri problemi, riformulandoli poi in forma di risoluzione del problema.

La malattia diviene sempre più frequentemente luogo d’incontro tra persone: i pazienti, i familiari ed il proprio entourage, i professionisti sanitari e il supporto psico-sociale.

Si costruiscono percorsi che si muovono attorno e con il paziente, in cui tutti contribuiscono al processo di cura disegnando a più mani la storia della loro vita.

Dopotutto, bisogna tenere a mente che ci si trova di fonte persone diverse, con bisogni diversi.

Ciò richiede lo sviluppo di una consapevolezza specifica per misurarsi con la diversità e la complessità di ogni caso, per modulare opportunamente la relazione d’aiuto durante il follow up pre-trapianto.

Accoglienza: le fasi

Una volta comunicata la diagnosi la persona interessata deve avere il tempo di elaborare il problema e la conoscenza dei percorsi da affrontare.

Sono due fattori importanti per giungere alla parte tecnica che è lo studio e l’inserimento in lista.

Ogni persona dopo la diagnosi di insufficienza renale terminale attraversa delle fasi che possono essere più o meno lunghe.

La fase di shock, di rabbia, di patteggiamento, di depressione, di nuova organizzazione.

La famiglia è un valido aiuto in tale percorso, è un contenitore di emozioni, è una risorsa e un complice.

Il colloquio facilita la modulazione e condivisione delle emozioni, la comunicazione, il passaggio di informazioni.

Stimola l’accettazione della situazione e delle limitazioni che essa comporta, favorendo una nuova organizzazione.

Favorisce l’attivazione di risorse familiari e individuali.

Cosa fare nelle fasi iniziali

E’ necessario fornire al paziente e ai suoi familiari uno spazio in cui raccogliere informazioni, chiarire dubbi, analizzare emozioni, vissuti, comportamenti e relazioni interpersonali.

Può essere utile visionare insieme materiale informativo e video, interrompendo per ogni chiarimento e ogni dubbio, e lasciare del tempo per elaborare le informazioni.

Anche la sala d’aspetto può essere un luogo strategico di preparazione.

Può essere realizzata in modo che il nuovo gruppo famiglia incontri altri pazienti che hanno già attraversato il percorso di cura e ne sono usciti con un trapianto e che, complici con il personale, possano raccontarsi ai nuovi arrivati.

Soprattutto nelle fasi di shock e rabbia sono utili storie e vissuti per interrompere l’ansia e instaurare un ascolto positivo in cui il paziente accetta il patteggiamento e una nuova organizzazione.

Dopo l’accettazione

Quando il paziente mostra di aver accettato il cambiamento si può iniziare a formulare domande sulle sue conoscenze in materia di trapianto e dargli le informazioni giuste e dettagliate.

Dovrà anche chiedere e parlarne apertamente in famiglia e anche nel gruppo di amici o colleghi.

E’ importante capisca che condividere un problema è vederlo sotto un’altra ottica, ridimensionarlo, farlo uscire da noi e affrontarlo.

Il programma di cura va analizzato e condiviso in ogni dettaglio.

Non è importante arrivare velocemente all’inserimento in lista, ma arrivarci con consapevolezza, avendo affrontato e risolto ogni dubbio, ostacolo fisico e psicologico.

Se possibile si visionano insieme (o se ne consiglia la visione a casa) siti utili come quello del Centro Nazionale Trapianto, il CNT, in cui è presente una sezione dedicata al paziente e a contenuti a lui utili.

Conclusione

Fondamentale è avere la fiducia del paziente.

La persona coinvolta deve capire che se vuole chiedere e avere informazioni da altri centri può essere aiutato e indirizzato, evitandogli pellegrinaggi a volte dispendiosi.

Più coinvolgiamo in tutto il percorso il paziente e la sua famiglia prima, più avremo una persona collaborativa dopo.

Parlare della storia di malattia e delle eventuali familiarità con malattie genetiche ci serve per capire se ci sono criticità che possono mettere a rischio il trapianto.

Serve a capire se è in grado di affrontare l’intervento, l’attesa: soprattutto se saprà mantenere bene l’organo trapiantato affidandosi ai curanti e rispettando le prescrizioni terapeutiche, dietetiche e il nuovo stile di vita.

Durante il primo incontro va specificato che si tratta di una informazione generale, completa, ma sintetica

Deve essere subito dato un secondo appuntamento più strutturato, invitando, se non sono già presenti, anche familiari o amici interessati alla persona che abbiamo in cura. Per iniziare il percorso descritto nella maniera migliore.